Punto focale dell’intera Basilica Vaticana, la cattedra di San Pietro trasforma l’elemento luminoso in una metafora della grazia divina.
Nell’invenzione senza precedenti di Bernini, natura e arte si fondono, dando vita a un teatro dell’estasi e a una dorata visione del paradiso. Le fonti antiche ne parlano semplicemente come dello splendore, tanto la cattedra di San Pietro in Vaticano è una cosa sola con la luce.
Nel 1656 già Lorenzo Bernini è all’apice della fama. Gode di un credito assoluto presso Papa Alessandro VII, e insieme al Pontefice discute su cosa porre alle spalle del monumentale baldacchino di bronzo che lo stesso artista aveva elevato oltre vent’anni prima, sopra l’altare della basilica. Incorniciato dalle colonne del baldacchino, il punto finale dell’abside avrebbe rappresentato la meta spirituale di ogni pellegrino. Il fuoco di ogni sguardo sarebbe stato in definitiva l’elemento che dava significato all’intero percorso di avvicinamento alla sede di Pietro.
La soluzione a Gianlorenzo la fornì luce. Fu una soluzione tanto inedita da non poter essere definita se non appunto, come splendore. Inclusa in un’invenzione stupefacente alta oltre sette metri, la luce fluisce dal finestrone ovale. Qui l’artista fece rappresentare la colomba in volo dello Spirito Santo, trasformando così l’elemento naturale nella metafora di una grazia divina sempre presente, immateriale ma oggettivamente riscontrabile all’occhio. Verso quell’elemento centrale, verso la sua durata mutevole di fusione luminosa, si accalca una gloria paradisiaca di angeli, putti e nubi, trafitta da raggi di stucco dorato che si sovrappongono all’architettura solenne pensata cent’anni prima da Michelangelo.
La natura irrompe nello spazio del sacro, si sovrappone ad esso, perché la natura e la luce sono il sacro. La passione del Seicento per la pittura di paesaggio, per quei tramonti d’oro che i pittori dipingevano sulle marine o sulle vestigia antiche, si faceva nella cattedra di San Pietro, discorso sul divino e i quattro padri della Chiesa in bronzo dorato, collocati su un altare di marmi policromi, innalzano verso quel turbinante mondo di beatitudine la cattedra di San Pietro, un trono di epoca altomedievale che si credeva essere stato la sede del principe degli Apostoli.
Le nubi che avvolgono la cattedra Petri, innalzandolo alla gloria, sono ancora un esempio di quelle estasi che il gioco della luce e l’infinito prodursi del mondo naturale provocano nello spirito umano. Tra ‘5 e ‘600 la filosofia di Giordano Bruno, Tommaso Campanella e Galileo Galilei aveva riflettuto sulla complessità del creato, su un universo senza confini in cui la natura prendeva il posto centrale fino ad allora occupato dall’uomo, suo indagatore e testimone.
Fatto proprio dall’opera di Bernini, questo elemento diventa nella cattedra di San Pietro, rappresentazione di un evento allo stesso tempo naturalissimo e sovrannaturale. La luce che piove dal centro dello splendore determina anche le caratteristiche cromatiche e fisiche dell’invenzione di Bernini, più leggera e dominata dall’oro man mano che lo sguardo sale. Dalla cattedra di San Pietro derivarono innumerevoli trasparenti posti sugli altari di chiese grandi e piccole di mezza Europa, ma anche i paradisi affrescati che irrompono sui soffitti delle chiese spalancando la grazia sull’assemblea dei fedeli.
Al cuore dell’invenzione berniniana, però, restava la poesia, sempre nuova, di un raggio di luce catturato nel cielo di Roma.
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