Nella taverna inventata da Caravaggio, la luce che scorre sul muro è manifestazione visibile della presenza di Dio che accende visi, capelli, occhiali, vesti, monete. Nell’attimo sospeso in cui l’anima di Matteo risponde alla chiamata di Cristo.
Fino al 1599, la rivoluzione di Caravaggio era rimasta confinata nelle gallerie dei collezionisti, patrimonio di un’élite di mecenati che poteva assimilarne l’onda d’urto e compiacersi dei suoi sottintesi. Fu sulle pareti della cappella del cardinale Mathieu Cointrel, nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi, che la proposta del pittore bergamasco divenne fatto pubblico, cambiando per sempre il corso della pittura.
Figura potente della corte pontificia, il prelato francese aveva acquistato una cappella nella chiesa della propria nazione. Nel 1565, quando Caravaggio non era ancora venuto al mondo, Cointrel o Contarelli, secondo la versione italianizzata del nome, aveva commissionato al pittore Girolamo Muziano la decorazione della cappella dove voleva fossero rappresentati tre momenti della vita di San Matteo, il suo santo patrono, la Vocazione, il martirio e la stesura del testo evangelico.
Inceppatasi sul nascere dopo la morte di Cointrel l’impresa decorativa, fu tenuta in sospeso per decenni e infine commissariata dal Papa. Arbitro di quella prestigiosa Commissione divenne così il cardinale Francesco Maria del Monte, protettore e amico di Caravaggio. La decorazione di una cappella poneva al pittore bergamasco problemi inediti. Fino a quel punto Caravaggio si era cimentato con i quadri da stanza, giovani, cantanti e fanciulle dalla fisicità prorompente, rappresentati a mezza figura. In quello stesso linguaggio erano stati tradotti anche gli episodi sacri, come la Giuditta della Galleria Barberini.
Un episodio evangelico, però, realizzato in scala monumentale, richiedeva di necessità un cambio di passo. La vocazione di San Matteo documenta l’innescarsi della via che il Merisi aveva percorso fino a quel momento su un nuovo orizzonte, capace di segnare uno spartiacque definitivo anche per gli artisti che in quella lingua spregiudicata e vera non si riconoscevano.
Sulla sinistra del quadro, eseguito su tela, il gruppo che comprende Matteo dilata a figura intera un’invenzione prossima a quella dei bari che l’artista aveva dipinto qualche anno prima. Il tavolo d’osteria su cui l’esattore Matteo attende il saldo del tributo è quello di una taverna contemporanea, come contemporanei sono i costumi dei due giovanotti piumati. A destra Gesù chiama Matteo che solleva il viso barbuto e lo guarda incredulo, puntando l’indice contro il proprio petto.
Intorno a questa trasformazione interiore appena intuita, fissata da Caravaggio nel suo farsi, un grande vuoto, uno spazio dilatato nell’ombra in cui la luce diventa equivalente visivo della grazia divina. Un amico di Caravaggio, Marzio Milesi, scrisse che Cristo in quest’opera sgombra e rischiara tanto lo spazio quanto lo spirito. Fuori dal quadro, un battente aperto disegna sul muro uno spicchio di luce, scavalca la finestra opaca, accende visi, capelli, occhiali, vesti, monete.
L’altissima densità metaforica di quella luce coincide con la verità implacabile della descrizione, dove tutto si conosce per opposizione di ombra e di luce.
Dieci anni dopo, per la stessa via, Galileo registrava l’imperfezione della superficie lunare e l’intima somiglianza fra la Terra e il suo satellite. La rivoluzione dell’arte si rispecchiava così in quella della scienza.
Lasciati incantare da EFFETTO AirClissi: Galletti trasforma il concetto di cassetta idronica in una nuova dimensione estetica, dove aria e luce diventano protagoniste della scena.